Il dolore maggiore
Alcune settimane or sono s'è consumata una tragedia che ha sconvolto il Brasile, il Rio Grande do Sul, la città di Santa Maria. La morte di centinaia di giovani nel rogo del locale notturno “Kiss” è stata divulgata dai notiziari di tutto il mondo.
La mancanza di controlli ed
autorizzazioni, l'assenza di verifiche degli impianti d'estinzione e
delle uscite di sicurezza ha introdotto un ampio dibattito che, per
la verità, già si sta affievolendo. Come sempre le vittime hanno
pagato per l'incuria, l'irresponsabilità e l'avidità di persone e
istituzioni. Il timore è quello di sempre, che alla fine pagheranno
solo i deboli.
IL DOLORE
MAGGIORE
Forse non esiste dolore maggiore al
mondo che la perdita di un figlio. Quanto più se questa creatura è
all'auge della propria vita. Le due prime decadi, sono di seminatura.
Ogni gesto, ogni nostra cura prestata hanno come conseguenza questo
momento, in cui questi ancora bambini mettono le ali e se vanno
determinando i loro propri passi. Questa autonomia realizza il
miracolo della continuazione della vita o ciò che intendiamo come
eternità. I figli rappresentano la continuità, la nostra semina
dando frutti. Perché la tragedia ha sconvolto anche negli angoli più
lontani la vita dello Stato proprio nell'istante in cui i loro passi
si riempivano di luce propria. Pertanto, niente è più brutale,
niente è più infinitamente stupido di ciò che è successo (n.d.t.:
a Santa Maria).
L'unica differenza è l'intensità del
dolore, per il resto, tutti, rigorosamente tutti noi ne siamo
coinvolti. Il Brasile è da cinque secoli una società debole.
Costruita con lo sfruttamento. Non solo dello sfruttamento straniero,
ma di quello che si è insinuato nei compatrioti brasiliani. Per
secoli il Brasile è stato prosciugato delle materie prime, per poi
pagare quella ricchezza generata e a cui scioccamente, ci si è
curvati. È stato così con tutto l'argento che c'era nelle città
che già esistevano, prima d'essere scoperte dagli europei. Il
feudalesimo stava arrivando alla sua fine ed è stato con la
ricchezza del nuovo mondo che s'è instaurato il capitalismo. Con
l'oro s'è arricchita l'Inghilterra; con l'argento la Germania,
l'Olanda e la Francia. Dopo, la coltivazione della canna da zucchero
ha trasformato la foresta in deserto. In sequenza le piantagioni di
cacao. Che hanno portato schiavi perché lo piantassero. Cambiavano i
venti e cadevano i prezzi, lasciando sui margini delle strade e dei
fiumi rinsecchiti migliaia di schiavi. I dominatori decimarono
milioni di indigeni, nel traffico negriero uccisero altri milioni di
africani, ad ogni ciclo economico erano condannati milioni di
lavoratori schiavi. Finché arrivò il caffè a liquidare una volta
per tutte la foresta atlantica brasiliana. Così i capitalisti,
finanziati da queste ricchezze, regolate da loro, continuarono
dettando le norme. Allora divenne necessario creare mercati per
rispondere alla domanda dei paesi industrializzati. Frattanto al
Brasile, come ad altri paesi, era proibito pensare di produrre
qualsiasi altro tipo di alimento, qualsiasi altro tipo di ricchezza,
se non quella che genera dipendenza.Il dolore che si sta vivendo è il dolore di una società debole, permanentemente sfruttata, senza il valore della vita. Questa è la questione. La fretta ora di punire i deboli è perché non cada la maschera, perché non si guardi là in cima.
Che questi angeli temerari, che se ne sono andati in questo modo difficile da accettare, possano illuminare le menti, non solo per punire i più sfavoriti, ma perché si possano promuovere mutamenti profondi e definitivi in questa nostra società codarda.
Parzialmente e liberamente tratto da
una colonna del giornale “Correio do Povo”
di sabato 2 febbraio 2013.Foto tratte da: urbanchristiannews.com, thetimes.co.uk, en.wikipedia.org
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